Ieri ho partecipato alla mia prima gara di triathlon a staffetta al prestigioso Challenge Rimini, e ho corso 21 chilometri.
Considerando che ho finito le cure per un tumore appena un anno fa, 21 km sono davvero tanta roba. Durante gli scorsi mesi mi sono allenata con impegno, e nonostante diversi acciacchi e i reni che mi hanno fatto un po’ arrabbiare, ho ottenuto buoni risultati, migliorando ogni giorno. Insomma, ero pronta.
Sono partita bene, ho mantenuto un buon passo per tre quarti della gara, mi sentivo benino… fino a un certo punto, quando c’è stato un intoppo.
Arrivata al sedicesimo chilometro non ne avevo più. Ma proprio più, credetemi. Gambe, testa e cuore, tutto andato. So che questa distanza sembra ridicola per qualsiasi runner, ma vi ricordo la situazione: per me era come essere alla fine di un’ultramaratona. Improvvisamente il dolore, la fatica e la stanchezza avevano preso il sopravvento, e una prepotente voce interna aveva iniziato a dirmi: “Ultimamente hai sofferto abbastanza, non credi? Perché importi questa dose aggiuntiva di dolore? Sei troppo stanca, fa troppo male. Non ce la fai più, lascia perdere. Chi te lo fa fare? Molla.”
Beh, non ci crederete ma ho mollato.
Ho rallentato e ho iniziato a camminare, a testa bassa e sempre più lentamente, fino a fermarmi. E mentre mi chiedevo come caspita avrei fatto altri cinque chilometri in quello stato e se non fosse davvero il caso di ritirarmi, mi si è affiancato un angelo marchiato 121.
“Tu adesso stai con me” ha detto con tono deciso, mettendomi il braccio attorno alla vita. “Lo so che fa male ma tu ora stai qui e corri a fianco a me.”
Ho ripreso a correre, obbediente.
“Tutta questione di testa – ha incalzato lei – respira bene, di pancia, seguimi e arriviamo in fondo”.
Da Mental Coach, sentirmi dire “tutta questione di testa” mi ha punto nell’orgoglio. Bella Mental Coach del piffero che sono!!! Ma quell’aiuto è arrivato proprio nel momento giusto e soprattutto nel modo giusto, così l’ho accolto di buon grado.
Tutti in alcuni momenti abbiamo bisogno di aiuto. Tutti abbiamo bisogno di un amico, un coach, magari di un angelo marchiato 121 che annulli gli effetti di un dialogo interno autosabotante. E se anche noi vogliamo essere quell’angelo, se vogliamo essere davvero d’aiuto per i nostri amici e i nostri cari nel momento del bisogno, dobbiamo imparare a farlo nel modo giusto.
Per fortuna in comunicazione efficace esiste una formula magica valida per tutti i casi e per chiunque. È facile e funziona davvero con tutti, ve la spiego.
Prima di tutto bisogna ricalcare, ovvero dimostrare di aver capito come sta l’altra persona. Il mio angelo è stato bravissimo perché dicendomi “lo so che fa male” ha dimostrato di comprendere e rispettare la mia situazione e i miei sentimenti.
Solo dopo aver fatto questo passo possiamo passare a guidare l’altra persona verso una via d’uscita (“tu ora stai qui e corri con me, e arriviamo in fondo”) e mostrarle nuove possibilità, nuove opportunità, nuove strade percorribili.
In Programmazione Neuro Linguistica questa struttura della comunicazione si chiama appunto ricalco e guida, e funziona sempre, ve lo garantisco. Funziona quando vogliamo aiutare qualcuno a uscire da una brutta situazione, quando vogliamo fargli vedere nuove prospettive se si sente senza via d’uscita, quando vogliamo fare in modo che prenda in considerazione la nostra opinione anche se è diversa dalla sua.
Quando dimostriamo di aver compreso e di rispettare il punto di vista e lo stato d’animo dell’altra persona, l’altro si sente più ben disposto ad ascoltare il nostro parere, ed eventualmente a seguirci. Se invece, semplicemente, gli rovesciamo addosso la nostra opinione in modo brutale, l’altra persona potrebbe rifiutarci, non crederci o non ascoltarci.
Ad esempio, se il mio angelo avesse detto semplicemente “dai che non fa male, corri con me”, avrebbe dimostrato di non aver capito quanto stavo soffrendo, e non l’avrei mai seguita.
Dopo l’intervento dell’angelo, che ho scoperto poi essere una professionista del triathlon che prima di quei 21 chilometri si era sparata anche due chilometri a nuoto e novanta chilometri di bici, -che umiliazione!- ho ripreso a correre, e sono arrivata in fondo. E lei mi aspettava all’arrivo, per abbracciarmi.
Mi terrò sempre nel cuore le parole di quella donna straordinaria, il suo atteggiamento -per nulla scontato durante una competizione!- e la sua dolce fermezza. E custodirò gelosamente tutti gli insegnamenti che ho tratto da questa meravigliosa avventura, primo tra tutti quello che se davvero vogliamo essere utili alle altre persone dobbiamo imparare a dare aiuto nel modo giusto.
Grazie di cuore, Angelo 121.